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Autore: Giuseppe Certomà
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Il tramonto del servizio sociale della giustizia
La sicurezza è il valore che ha aperto la strada allo smantellamento dello stato sociale. Ed è anche il valore che ha contribuito alla formazione della stato social-penale, basato sulla tolleranza zero. Le strategie di quest’ultima hanno generato sentimenti di odio, di rancore e di violenza nei confronti dei diversi con il conseguente effetto dell’incarcerazione di massa. Uno degli elementi peculiari dell’incarcerazione di massa consiste nel fatto che il carcere è diventato un’istituzione deputata alla gestione dei rifiuti sociali. Questo tipo di carcere non promette alcuna trasformazione dei detenuti mediante l’aiuto sociale, il trattamento rieducativo o la terapia. Accanto alle carceri, le quali continuano a svolgere il controllo social-penale, vi sono istituzioni più repressive: i campi d’internamento per immigrati clandestini. In questi ultimi regna il dominio totalitario in quanto l’ordinamento giuridico dei diritti è integralmente sospeso. Ne consegue che nei campi, i quali non sono altro che spazi di eccezione, “tutto è possibile”, tutto è permesso. Nello stato sicuritario e di eccezione l’intervento del lavoro sociale, dei servizi della psico-pedagogia penitenziaria, dei servizi socio-assistenziali territoriali, basato sull’ideale del reinserimento, non ha più senso. Nel contempo le professioni di aiuto corrono il rischio di diventare “un’antenna dei servizi di polizia e un’appendice dell’istituzione giudiziaria”.
Giuseppe Certomà (1942-2014). Assistente sociale e studioso delle problematiche del servizio sociale è stato allievo per due anni di Maria Calogero Comandini alla scuola Cepas e l’ha avuta come correlatrice della tesi “La sociologia di Émile Durkheim e il lavoro sociale”. Ha svolto un’intensa attività di ricerca sulle origini e i fondamenti culturali del servizio sociale.
Scheda tecnica
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